The Blade Itself di Joe Abercrombie, pubblicato in Italia nel 2013 con il titolo “Il richiamo delle spade”, da un editore, Gargolyle, che neanche sapevo esistesse, è il primo libro di una trilogia (The First Law) di genere “grim dark fantasy”.
Sono stato perplesso in merito a questo libro, più o meno fino alla fine. Una volta girata l’ultima pagina, sono andato su Goodreads a mettergli 5 stelle (su 5, se non lo sapessi). Perché? Merito del finale? No. Arrivato alla fine del libro, semplicemente ho capito qual è l’idea dietro al libro e l’ho trovata estremamente interessante.
Abercrombie, in The Blade Itself , ha preso la classica struttura dell’heroic fantasy e l’ha applicata ad un cast di personaggi che di “heroic” non hanno nulla. Tutto il libro è una lunga introduzione ai personaggi, ai loro pregi e difetti e alle loro storie. È tutta gente piacevole? No. Però è tutta gente della quale voglio sapere di più e in un libro tutto composto da personaggi che non fanno nulla per piacere al lettore come questi, è un ottimo indicatore della qualità del lavoro di caratterizzazione fatto dall’autore.
Ogni personaggio è un ammasso di zone grigie, con poche luci e troppe ombre e questo mix rende il libro una polveriera sul punto di accendersi in ogni momento. E guarda che non parlo solo del cast principale, ma anche dei personaggi secondari, anche quando per tre quarti del libro li abbiamo archiviati sotto rassicuranti etichette come “un brav’uomo”, “una persona saggia” e via discorrendo.
Non è un libro per tutti però: il world building è quasi inesistente e la trama procede a passo di lumaca, quindi stia lontano chi cerca azione e ritmo serrato.
E, per tutti quelli che amano l’inquisitore Glokta, consiglio la lettura dell’italianissimo “Nicolas Eymerich, inquisitore” di Valerio Evangelisti del 1994. Non mi stupirebbe se Abercrombie l’avesse letto e amato.
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